Racconto il resoconto di incontri terapeutici di una madre con un bimbo di 6 mesi che non riusciva a superare il suo stato depressivo. Per la donna ritrovare nella terapeuta una figura materna accogliente e di sostegno le ha consentito di superare la sua condizione di inadeguatezza e di risolvere un rapporto difficile con la propria figura materna.
Premetto che la psicoanalisi ha fatto molti progressi dopo Freud. Difatti il padre della psicoanalisi ha incentrato il suo interesse sulla sessualità, lasciandosene dominare al punto tale da lasciare nell’ombra tematiche più profonde e primitive, cioè i contenuti dell’inconscio relativi alle prime esperienze dell’essere.
Freud (1905) aveva avuto la genialità di scoprire che la vita sessuale inizia nell’infanzia in quanto il soddisfacimento dei bisogni vitali fa sorgere l’eccitazione ed il piacere erotico. Il primo istintivo bisogno del lattante è alimentarsi, per cui la pulsione orale è la prima a destarsi e la bocca è la prima zona erogena.
Normalmente la libido, l’energia sessuale, evolve dalla fase orale a quella anale e fallica per arrivare infine a una prima fase del dominio genitale intorno ai cinque anni.
Egli pone come fulcro della sua teoria il complesso edipico, cioè l’investimento libidico del genitore di sesso opposto e contemporaneamente la rivalità ed il timore per l’altro genitore. Secondo Freud, l’angoscia edipica di castrazione può causare una regressione ed una successiva fissazione alle fasi pregenitali con l’insorgenza di una nevrosi.
In realtà Freud si è poco occupato della funzione materna, della capacità di accoglienza e di empatia di una madre per il proprio piccolo, della sua possibilità o meno di rispondere ai suoi bisogni; egli vede la madre, o meglio il seno, come un oggetto pulsionale su cui il bambino si appoggia per le prime esperienze di soddisfacimento dei suoi bisogni vitali di conservazione. Freud non ha esplorato il profondo mondo psichico così ricco e complesso della relazione duale madre-bambino, in cui dalla continua interazione reciproca della coppia il piccolo scopre se stesso e l’ambiente circostante.
Queste primissime fasi sono fondamentali per il raggiungimento dell’equilibrio dell’individuo e per la sua saluta mentale.
Voglio focalizzare l’attenzione del lettore sulla tappa cruciale dello sviluppo per ogni bambino: arrivare alla costanza dell’oggetto che, in termini psicoanalitici, significa sapere che la madre esiste ancora ed è disponibile per lui, anche se non è fisicamente presente. Freud descrive il gioco del rocchetto in un bambino che si divertiva a lanciare lontano dalla sua vista il rocchetto tramite il filo e poi lo portava vicino a sé in modo da poterlo vedere; intuisce brillantemente il significato simbolico del gioco del piccolo per padroneggiare l’angoscia di separazione dalla madre, ma solo i suoi successori approfondiranno i primi processi dello sviluppo psichico e le sue angosce, quale per esempio quella abbandonica per la separazione dalla madre.
Solo una madre capace di rispondere in modo empatico ai bisogni del proprio figlio, di contenerne le angosce quando è esposto a stimoli esterni, avvertiti minacciosi perché estranei, fornendogli un sicuro schermo protettivo, garantisce al bambino la sicurezza in se stesso in quanto ha introiettato la figura della madre buona e disponibile, essendo in grado di sentirne la presenza anche se è fisicamente lontano. Allora non sperimenterà l’angoscia dell’abbandono alla separazione dalla madre.
Mi preme sottolineare che la bambina può essere sfavorita rispetto al maschio per la maggiore ambivalenza nel rapporto con la madre, probabilmente meno libidico essendo entrambe dello stesso sesso; ma, soprattutto, perché è costretta ad un cambio dell’oggetto di amore dalla madre al padre. Ovviamente questo elemento spiega l’ulteriore difficoltà per la donna di identificarsi con una figura materna buona, non avendo un’ulteriore possibilità di recuperare il rapporto materno in fase edipica, anzi si aggiunge la rivalità e l’astio tipici per il genitore dello stesso sesso.
Questa tematica del rapporto della figlia con la matrigna, basato sulla gelosia, l’invidia e l’odio, è ben rappresentato nelle maggior parte delle favole.
A proposito del diverso destino dell’uomo e della donna nel rapporto iniziale con la madre e poi nel corso della vita, la Friday (1973) afferma: “Il seno femminile, simbolo di tenerezza, è a disposizione degli uomini per tutta la vita, per succhiarlo, per farsi consolare, per farsi coccolare. Ma le donne? Il seno è per tutti la fonte di vita, ma le bambine appena staccate dal seno materno, diventano le sorelline della madre e vengono gettate nel mondo freddo dei rapporti madre-figlia. Papà non è di grande aiuto: non solo è senza seno, ma anche il suo grembo caldo e le sue braccia forti ben presto sono fuori portata.”
Questo aspetto del rapporto libidico più carente della madre verso la figlia femmina rispetto al maschio può rappresentare un ostacolo al difficile percorso dello sviluppo del femminile. Se la donna non riesce a raggiungere un’identificazione con una figura femminile buona ed accogliente non avrà una maturità ed una crescita che la rende idonea alla funzione tipicamente femminile della maternità. Comunque ha la possibilità di superare il suo blocco maturativo, affrontando i suoi conflitti irrisolti, grazie alle potenzialità degli scambi relazionali con il partner (teoria degli oggetti-Sé di Kohut, 1977). Difatti un rapporto di coppia soddisfacente può compensare le carenze di base di entrambi i partner.
Winnicot e la capacità di essere soli
Il senso di solitudine, cioè la sensazione di essere soli quando esiste un disagio interno e si avverte il bisogno di un sostegno emotivo, dipende dal singolo individuo, dalle sue esperienze passate, principalmente dalla qualità delle prime relazioni con la madre (mi riferisco ai primi due-tre anni di vita). Se il rapporto materno primario è stato soddisfacente l’individuo, quando è fisicamente solo e senza l’affetto di una persona emotivamente vicina, si potrà sentire sereno, tranquillo perché fondamentalmente ha una fiducia di base che gli provengono dalle prime esperienze infantili soddisfacenti. Al contrario, se queste gli sono venute a mancare, sperimenterà un senso di sfiducia e di inadeguatezza se è emotivamente solo, con l’incapacità di affrontare i momenti critici della vita, oppure nei casi più gravi anche la solita routine quotidiana.
Quindi la capacità di essere solo (Winnicot, 1965) è uno dei segni più importanti di maturità nello sviluppo affettivo ed implica che l’individuo in una fase precoce abbia raggiunto la consapevolezza della continuità dell’esistenza di una madre attendibile; in tal modo avendo avuto la possibilità di costruirsi la fiducia nell’esistenza di un ambiente interno, diventa capace di rinunciare alla presenza reale di una persona rassicurante.
Anche se il mio approccio non è sociale ma intrapsichico non posso fare a meno di collocare una madre in difficoltà in relazione al suo ambiente familiare, per capire che tipo di richieste fa e che tipo di risposte riceve in funzione della sua condizione di bisogno. Spesso la donna non ha piena consapevolezza del suo disagio interiore e quindi è incapace di esprimere il suo bisogno di aiuto alle persone che dovrebbero esserle vicino. meno di collocare questa madre nella realtà sociale di oggi e all’interno del suo nucleo familiare, per capire che tipo di richieste fa al suo ambiente e che tipo di risposte riceve in funzione dei suoi bisogni. Ci tengo a sottolineare che spesso alla neomamma viene a mancare la consapevolezza del suo disagio interiore e quindi l’incapacità di esprimere il suo bisogno di aiuto alle persone vicine.
Man mano che la mia esperienza professionale come psicoterapeuta aumenta mi accorgo che più un individuo parte svantaggiato, sia per esperienze infantili poco soddisfacenti oppure per una scarsità delle risorse personali e familiari, più andrà incontro a situazioni sfavorevoli o addirittura traumatiche con ripercussione negativa sulla propria situazione interna. Se diamo uno sguardo all’evoluzione della società moderna, notiamo che c’è una involuzione in quanto si è persa la vera dimensione umana nei rapporti interpersonali. Ci sono cambiamenti, sia a livello sociale e culturale e sia a livello individuale. Oggi più che mai l’essere umano è frammentato e disorientato in una società che spinge all’efficienza ed al consumismo, proponendo la soddisfazione di bisogni superficiali e fittizi. Oltre questa dimensione alienante della società attuale vi è una tendenza all’isolamento del singolo individuo e del nucleo familiare. Manca spesso la capacità di dialogare all’interno della famiglia, per condividere affetti, emozioni e pensieri; alcune volte ciò è dovuto alla difficoltà della singola persona a mettersi in contatto con l’altro, talvolta è il ritmo di vita che riduce il tempo, la disponibilità e la voglia di dialogare. Inoltre ora che la donna è emancipata e più concentrata su sé stessa e sul suo successo personale il legame di coppia, soprattutto con la nascita di un figlio, può divenire più precario. Venendo meno le relazioni familiari allargate ed in assenza di una rete di supporto sociale e culturale, la donna che affronta una maternità è più a rischio rispetto al passato, se per motivi legati alla sua storia personale soffre di solitudine ed insicurezza e non riceve l’aiuto emotivo necessario dal coniuge o dal compagno. Cosicché le problematiche della madre, legate a conflitti passati irrisolti di un certo rilievo, avranno un influsso molto negativo sulla prole se il partner si tira fuori in quanto non solo priva del sostegno affettivo la madre ed il figlio ma perpetua il loro rapporto e le loro dinamiche patologiche, non permettendo il naturale e progressivo processo di separazione che si raggiunge ai tre anni di vita del bambino.
La madre già insicura per sue vicende personali è spesso sola nel suo compito e vive in modo sempre più disperato il suo isolamento ed il suo forte senso di incapacità.
La solitudine di una madre
Credo che non ci sia nulla di più triste di una mamma che nel momento che deve fare dono del suo amore al suo piccolo nato si senta incapace nel suo ruolo e per questo depressa.
Ripercorrerò i momenti salienti della storia di Michela, una professionista molto affermata, per esemplificare quanto ho esposto sulla difficoltà di una donna di assumere con serenità la sua funzione materna, nonostante la gravidanza sia stata cercata e desiderata.
Michela mi chiede il primo incontro quando Marco, il figlioletto primogenito, ha sei mesi di vita in quanto si sente inadeguata ed impacciata come madre, si sente molte volte insicura al punto tale che si preoccupa per un nonnulla per la crescita, l’alimentazione, i pianti immotivati del figlio. Me lo porta a continui controlli pediatrici per verificare se sta bene e per farsi tranquillizzare dalle sue ansie; talvolta Michela scoppia a piangere perché si accorge delle sue profonde insicurezze.
Ora che il figlio ha sei mesi di età, ha programmato di ritornare al suo lavoro e vive questa separazione con eccessivi sensi di colpa.
Le offro degli incontri psicoterapeutici per approfondire la sua insicurezza e la sua tristezza. Solo al primo incontro chiedo a Michela di venire con Marco, perché la terapia è diretta si alla mamma ma è finalizzata alla relazione madre-bambino: in questa maniera gli investimenti libidici sono facilmente duttili e mutevoli. La terapia può essere così limitata a pochi incontri perché la mamma sotto l’investimento verso il proprio figlio riesce ad riacquistare più facilmente fiducia ed autostima nel suo ruolo. Michela mi racconta subito spontaneamente la sua grande difficoltà a vivere serenamente la sua maternità e ciò per lei è un grosso problema perché Marco era stato desiderato ed era stato scelto addirittura il periodo giusto per la gravidanza, compatibilmente con il suo lavoro.
Aveva fatto tanti programmi per questo figlio, ma ora quando si ritrova a casa da sola a fare la mamma a tempo pieno, si sente disorientata, avverte un vuoto, alcune volte si accorge di essere francamente depressa; allora avverte la paura di non essere una madre adeguata e le viene da piangere.
Pian piano emerge la profonda problematica di Michela che si era prefissa di essere una madre perfetta, si era immaginata felice e realizzata in questo ruolo ed invece ora si sta sentendo incapace. Cercherebbe di ritrovare il suo spazio nel campo del lavoro, dove ha espresso sempre il meglio di se stessa, ma ora vive ciò con un senso di colpa come espressione di un suo desiderio di allontanarsi dal figlio.
Come mai una donna così intelligente ed affermata nel suo lavoro professionale, come Michela, trova così difficile identificarsi in un ruolo più femminile di accoglienza per il piccolo Marco?
Michela mi racconta che in questo momento rifiuta l’aiuto ed il sostegno di sua madre, la quale anzi si mostra disponibile a sollevarla semplicemente dalle incombenze più pratiche, senza rubarle il suo ruolo materno: le ha espresso chiaramente il desiderio di occuparsi personalmente di Marco, per lo meno finché è piccolo.
In una seduta Michela piange parlando del rapporto sempre difficile con la madre; la descrive ansiosa, autoritaria e mai espansiva e tenera. Per questo motivo ha avuto un dialogo aperto ed intelligente con il padre fin da piccola; mi dice che hanno le stesse preferenze, gli stessi interessi e con lui ha avuto sempre un ottimo rapporto.
Dalla storia emerge abbastanza chiaramente che Michela, per una originaria carenza nel rapporto con la madre, non ha potuto sviluppare la sua parte tenera ed affettiva ed ora, non avendo una identificazione con una figura materna positiva, ha difficoltà nello svolgere la sua funzione materna.
Parallelamente la maggiore disponibilità del padre avrebbe favorito l’investimento della figura paterna, da lui le è venuta sicurezza e razionalità. La mia funzione in terapia spesso si è limitata ad un ascolto empatico delle difficoltà che Michela incontra nel rapporto con il figlio, senza entrare troppo nei rapporti conflittuali con i genitori in quanto questo tipo di consultazione può prevedere pochi incontri, a causa della grande mobilizzazione delle dinamiche intrapsichiche proprie del post-partum.
Difatti alcuni dati desunti dalla storia clinica generalmente è preferibile non verbalizzarli, ad esempio che molto probabilmente Michela è rimasta fissata ad un rapporto edipico con il padre e quindi nella sua fantasia Marco potrebbe rappresentare il figlio desiderato dato al padre, e ciò può essere anche vissuto con un inconscio senso di colpa od anche determinare una inibizione del contatto corporeo con il piccolo, come se fosse una concretizzazione dell’edipo (nella fantasia il figlio dato al padre può rappresentare anche il pene che il padre dà alla figlia).
Difatti a conferma di una mancata risoluzione del rapporto edipico Michela appare avere un legame con il partner più basato su comuni interessi intellettuali senza un grande coinvolgimento emotivo, quasi negasse e rimuovesse il piacere libidico sia nel rapporto con lui sia con il figlio stesso. In questo caso era evidente che la madre non si permetteva il godimento tipico di una buona funzione materna di abbracciare, carezzare, e contenere fra le braccia il figlio.
Michela, sotto la spinta del padre a conquistare una autonomia e ad essere competitiva sembra aver investito più la sua parte cognitiva raggiungendo un successo nella sua professione, a scapito della parte più emotiva ed affettiva tipicamente femminile.
Quando Michela, in seduta, è riuscita ad avvicinarsi al conflitto con la madre riconoscendo che, sebbene fosse stata fredda e distaccata nel rapporto con lei, ora le stava mostrando il suo desiderio di starle vicina, ha cominciato ad essere meno severa con se stessa e a vivere con più serenità il suo ruolo materno, accettando anche delle possibili mancanze senza sensi di colpa.
Questo riconoscimento è stato possibile perché la mia presenza, nel setting analitico, con l’ascolto e l’empatia ha potuto far sperimentare la vicinanza di una figura materna accogliente ed il desiderio ed il bisogno di riavvicinarsi alla propria madre non più rifiutata.
Michela aveva presentato il tipico lutto genitoriale in quanto rimproverando alla madre le mancanze di tenerezze e di calore affettivo da lei stessa subite nell’infanzia, al momento della nascita di Marco si era prefissa un ideale genitoriale troppo perfetto e quindi lontano dal potersi realizzare, da qui i sentimenti depressivi e di inadeguatezza come madre.
Per approfondire il tema del Post-Partum puoi leggere anche l'articolo: Depresssione Post-Partum: come affrontarla